Paesaggi interiori, memorie e una capacità di restituire forme intrise dal forte senso di spiritualità
Esiste un intero mondo nella produzione culturale dell’uomo che si è visto offrire dal viaggio un’infinita potenzialità di suggestioni tra reale e fantastico, in cui la spinta verso il sé più intimo è stato un passo cruciale per i pensatori che vi ci sono cimentati. Basti pensare al viaggio intrapreso da Odisseo o da quello compiuto dal Mattia Pascal di Pirandello, per non dimenticare i lontani mondi evocati dai quadri di Jean-Léon Gérôme o da quelli di Paul Gaugain.
Questo probabilmente perché, come ci spiega il filosofo Michel Onfray, il viaggio “presuppone l’arte di lasciarsi impregnare del paesaggio, e poi una volontà di comprenderlo, di vederne le concatenazioni”. Un procedere del fuori verso l’interno che modifica profondamente l’io. Durante il viaggio infatti il viaggiatore si espone al mondo e questa sua sensibilità diventa la chiave di questo mutamento.
Quello di Giuliano Cataldo Giancotti, artista nato a Berna (Svizzera) nel 1990, è anch’esso un viaggio, un percorso di riflessione, che vuole ragionare sul significato stesso del viaggio in un’epoca, quella d’oggi, dove la figura del viaggiatore si vede sempre più sostituire gli occhi della meraviglia e della scoperta con l’obbiettivo della fotocamera, strumento imprescindibile del buon turista, troppo preso a documentare la sua presenza e così poco incline a fermarsi per osservare e vivere il luogo.
La ricerca artistica di Giancotti nasce da questo interesse per i luoghi intesi come entità fisiche di un passato che testimonia la nostra presenza nel mondo.
Tutto comincia durante il suo percorso accademico a Brera, dove inizia da un lato ad interessarsi al tema e dall’altro a sperimentare la tecnica del ferro, che diventerà segno distintivo del suo lavoro. Da qui la tesi dal titolo “Le trasformazioni del Viaggio, dal Grand tour ai viaggi contemporanei”, dove Giancotti parla della Calabria, terra d’origine dei suoi nonni e da cui provengono i suoi primi ricordi, e che rappresenta l’inizio del suo personale viaggio nonché della sua ricerca; come dimostrano alcune delle sue creazioni che prendono per l’appunto spunto dalle architetture del paesaggio calabrese come Omaggio a Capocolonna, che riprende l’ultima colonna del Tempio di Hera Lacinia rimasta eretta a Capocolonna, o Torre Naos, che si ispira invece alla torre di guardia di Capo Nao, meglio conosciuta come Torre Nao, struttura difensiva a pianta quadrangolare edificata dagli spagnoli nel XVI secolo.
Luoghi aulici, mistici, capaci di evocare nell’osservatore tutto un mondo che è sia lontano che vicino, dell’altrove ma anche del qui ed ora, narratori di un legame mnemonico, profondo, tra il nostro passato e il nostro io più intimo. Questo rievocare dell’artista parte da un lavoro di riflessione che egli compie sull’immagine in modo da prefigurarla mentalmente per poi plasmarla mediante il ferro in una morbidezza che risulta paradossale alla materia usata. Sembra infatti che quelle strutture siano disegnate con una matita nello spazio. Scheletri, linee e una capacità di restituire forme intrise di un grande senso di spiritualità.
Le sculture di Giancotti dialogano con lo spazio, seducendo l’osservatore con i suoi vuoti. Una leggerezza visiva che evoca nell’osservatore un silenzio quasi rituale, meditativo. Come se quella minima presenza nello spazio avesse una tale risonanza dentro di noi da diventare ingombrante.
L’intento dell’artista/scultore non è solo quello di richiamare il semplice luogo fisico, ma bensì delineare una traccia in grado di amplificarsi nell’osservatore portando alla luce un mondo intero fatto di connessioni, allusioni, simboli. Un viaggio interiore dove la Itaca da raggiungere siamo noi stessi.
INFO/PHOTO COURTESY: Hysteria Art Gallery
Junior Alban